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26 gennaio 2009

Fic: Cap. 1

Ya-chan: Allora, oggi presento una novità per il blog, ovvero la fic di Ery ^^ Se vi piace, andate a visitare il suo blog, mi raccomando!
Altra cosa, Ery mi ha avvertito che è di rating rosso. Cioè, ci potrebbero essere scene non adatte ad un pubblico non maggiorenne. Ma al momento non ne ho viste e comunque mi ha detto che sono camuffate bene XD Quindi, nessun problema al momento. Al massimo, se si dovessero notare, ci mettiamo una striscia nera per coprire le scene scandalose XD (tranquilla Ery, sto scherzando XD). Ah, per la traduzione della frase in inglese, chiedete all'autrice (io sono una frana in inglese -_-')
Ringrazio poi Ery, per essersi occupata dal layout del blog ^^ Mi ha reso un gran favore!
Ma ora vi lascio alla lettura...



On behalf of her love She no longer sleeps Life no longer had meaning Nothing to make her stay
She sold her soul away…


THE PROMISE
Cap. 1

La sera del ballo fu la sera nella quale la mia vita cambiò radicalmente. La mia vita, la mia casa, la mia famiglia, i miei affetti, il mio amore…tutto mi fu portato via nel giro di pochi istanti, durante una serata che si prospettava sin dall’inizio carica di agitazione e di fermento.

Ma non di quel fermento e di quell’agitazione che fanno da sfondo a qualsiasi festa, no, i sentimenti che sfociarono in quella serata furono molteplici.

Allegria, gioia, contentezza…

E poi...

Dolore, disperazione, morte.

E poi il buio.


*


Ricordo ogni dettaglio talmente nitidamente che è come se qualche artista avesse dipinto per me ogni attimo di quella serata. Io, sciocca diciassettenne alle prese con il primo ballo a corte ero forse la persona più osservata e discussa dell’intera festa. Ovunque voltavo lo sguardo vedevo gente che mi fissava, che parlava di me con altre persone. Donne talmente prese da loro stesse incrociavano il mio sguardo assumendo stupide pose di superiorità, riuscendo solo a sembrare ancora più stolte e ignoranti di quello che già fossero.

Vagavo per l’enorme sala cercando di non inciampare nelle pieghe del vestito da ballo, odiavo le cerimonie e tutto ciò che concerneva qualsiasi impegno che risultasse femminile o relativamente dolce. Ero sempre stata diversa dalle mie amiche, tutte ammiratrici segrete di fronzoli e altri accessori che alla sola parola mi facevano venire la pelle d’oca.

“Eppure ti ho cresciuta da ragazza” diceva qualche volta esasperata mia madre.

Solitamente a quelle parole io sbuffavo contrariata, ripetendole la stessa e identica frase che ormai le ripetevo con noia da una decina d’anni:

“Solo perché hai partorito una femmina, non significa che debba comportarmi da oca come le altre”

A quelle parole mia madre nascondeva sempre una risata, perdendo forse per qualche istante quel contegno degno di una regina.

Riuscii ad uscire fuori sul piccolo balconcino nel quale da piccola sostavo guardando meravigliata la natura incontaminata fuori dalle mura del palazzo, all’interno di esse i giardini tenuti come oro dai giardinieri erano uno spettacolo neppure paragonabile a ciò che stava al di là.

Posai le braccia sul balcone fatto di solido marmo, lasciando che la brezza fresca della sera facesse volare i miei capelli rossi per me troppo lunghi. Li odiavo, quel colore innaturale mi faceva sentire diversa, anche se in fondo, amavo esserlo.

Fu in quel momento che lo incontrai. Fino a quel momento non mi ero resa conto della persona che poco distante da me osservava incantato la notte. Mi rimisi composta senza togliergli gli occhi di dosso, era strano ma i suoi lineamenti, il modo in cui scrutava tranquillo l’orizzonte con quegli occhi scuri e profondi, il suo sorriso sereno mi toglievano il fiato. Era perfetto, sotto qualunque aspetto lo si guardasse.

In quel momento lui distolse lo sguardo, posandolo sul mio sorpreso e mi sorrise, mentre io imbarazzata abbassavo di colpo il mio arrossendo.

“Non…non ti ho mai visto da queste parti, vieni da qualche contea esterna?” chiesi maledicendomi per il mio imbarazzo. Non avevo mai avuto problemi a parlare con le persone, invece in quel momento qualsiasi cosa tentassi di dire finiva inesorabilmente con un balbettio di voce.

Lui sorrise nuovamente e in quel momento qualcosa in fondo al mio stomaco sussultò, facendomi arrossire ancora più ferocemente tanto che dovetti voltargli le spalle e posarmi una mano sul cuore, che aveva incoerentemente iniziato a reagire a quella situazione in modo assurdo, battendo in un modo talmente forte che mi faceva mancare il respiro, quasi avessi corso per chilometri senza mai fermarmi.

“Esatto, vengo da una contea qui vicino. Ho ricevuto l’invito al ballo così per caso, e mio padre mi ha semplicemente obbligato ad accettare”

Mi voltai verso di lui sorpresa. La sua voce provocava in me un miscuglio di sentimenti e di emozioni strane che andavano dalla malinconia, alla gioia, alla commozione, alla dolcezza.

“Ah” dissi semplicemente, cercando di trovare un qualsiasi argomento per continuare a discorrere con lui. Non mi resi conto di essere talmente imbarazzata da scostarmi una ciocca e portarmela dietro l’orecchio, come solo le civette di corte facevano e quando me ne resi conto esclamai di disgusto, riportando la ciocca dove si trovava, mentre quel ragazzo scoppiava a ridere.

“A quanto vedo non sei una ragazza molto femminile” disse cercando di ritrovare un minimo di contegno, mentre la mia faccia assumeva un colorito più rosso dei miei capelli mentre mi davo mentalmente dell’idiota per la misera figura appena fatta.

“Mi dispiace” riuscii solo a dire, senza trovare la benché minima scusa per giustificarmi. Se mia madre o mio padre fossero stati li sarebbero rimasti inorriditi dalla mia mancanza così profonda di tatto, che mi portava a fare figure come quella.

Lui scosse la testa mantenendo quell’insolito e così meraviglioso sorriso, avvicinandosi a me lentamente, come se il tempo avesse arbitrariamente deciso di rallentare il suo scorrere silenzioso.

Mi resi conto solo alcuni attimi più tardi di quanto lui fosse vicino a me, talmente tanto che potei quasi sentirne il respiro sulla mia pelle, lentamente alzò una mano e mi scostò quella ciocca che prima avevo volutamente ricacciato dov’era dal viso, portandola dietro al mio orecchio, dove lei stette, quasi fosse stata anch’essa rapita dalla figura di quel ragazzo.

“Hai dei begli occhi” disse improvvisamente, fissandomi sorpreso e quasi ammirato, mentre io rimanevo completamente pietrificata, incantata dai suoi, talmente scuri e profondi quasi fossero le porte d’accesso di un baratro, eppure così caldi da imprimersi nella mia memoria in modo quasi tangibile.

“Grazie, anche i tuoi sono…strani”

Lui mi guardò stranito, mentre io abbassavo di colpo lo sguardo cercando un qualsiasi pretesto per fuggire da quella conversazione talmente assurda e logora per i miei nervi che credevo sarebbero implosi con me stessa.

“Bhe, grazie del complimento” disse lui tornando a ridere di gusto.

Nonostante le figuracce che continuavo a fare una dietro l’altra lui restava li, sereno e tranquillo, come qualsiasi persona ingenua che non capisce quando qualcuno lo sta offendendo. Ma forse era questo che lo rendeva diverso, che rendeva diversa tutta quella situazione. Io non stavo cercando di offenderlo, anzi, cercavo con tutta me stessa di rendermi carina e socievole, ma le mie prove continuavano a fallire miseramente.

“Sei divertente” mi disse ad un certo punto.

“Divertente?” chiesi io sorpresa di quella constatazione.

Nessuno fino ad allora mi aveva mai detto una cosa simile. Ero abituata a commenti poco carini sulla mia persona, come “maschiaccio, antipatica, superba” ma mai nessuno mi aveva detto che ero divertente.

“Sei divertente, e in qualche modo carina”

Lo fissai quasi scandalizzata, forse ero fin troppo diffidente verso le persone, ma quella frase mi fece credere che mi stesse solo prendendo in giro.

“Ti stai burlando di me!” sbottai mentre lui assumeva uno sguardo confuso e disorientato.

Senza un motivo apparente strinsi i pugni e gli occhi mi si riempirono di lacrime che riuscii a ricacciare indietro prima che facessero danno rotolando giu dal mio viso.

Non sono sicura che lui se ne fosse accorto, ma ricordo ancora perfettamente il tocco della sua mano che sfiorava la mia guancia, mandando letteralmente a fuoco la mia pelle.

“Mi dispiace” disse.

Quel tepore mi restituì la lucidità necessaria per riprende il controllo di me stessa, voltai lo sguardo verso l’interno della sala, dove tutti si stavano divertendo sorseggiando drink o spettegolando dell’ultima moda. Mentre io ero fuori insieme ad un perfetto sconosciuto, conosciuto per caso quella sera.

Sorrisi, cercando di essere il più naturale possibile e quello che accadde dopo fu la cosa più irrazionale che qualsiasi persona potesse fare.

“Come ti chiami?” mi chiese.

“Misty…e…tu?”

“Ash…piacere”

Senza una benché minima ragione scoppiai a ridere sentendo quel nome, mi piegai in due stringendomi le braccia sulla pancia mentre lui mi guardava non riuscendo a capire cosa ci trovassi di così divertente in un nome simile.

“Scusami…è solo che…” dissi cercando di bloccare l’attacco di ridarella acuta che mi aveva colpita improvvisamente.

“Ti stai burlando di me?” chiese improvvisamente e io divenni tutta d’un tratto seria, fissandolo sorpresa.

Credo che si fosse spaventato della mia reazione così volubile perché scoppiò a ridere di gusto mandando a quel paese il contegno e lasciando che il cappello gli cadesse a terra dal ridere.

“Scusa, non volevo farti spaventare, è solo che…la tua faccia”

Io rimasi inebetita a fissarlo, mentre i suoi capelli sbarazzini si muovevano ondeggiando al vento, rapendo il mio sguardo tanto che provai l’impulso irrefrenabile di toccarli.

Mi fermai a pochi centimetri dal suo viso, dopodichè mi abbassai velocemente per raccogliere il suo cappello, mentre lui, ne sono certa mi guardava con uno sguardo talmente profondo da trafiggermi.

Mi alzai tenendo lo sguardo basso e gli porsi il cappello, che lui si rimise in testa senza smettere – ne sono sicura – di fissarsi.

“Che ne dici di entrare? Stanno per aprire le danze”

A quelle parole sbiancai. Odiavo ballare e quindi mettermi in bella mostra davanti alla gente.

“Non so ballare” risposi fin troppo in fretta perché risultasse vero.

Lui inarcò un sopracciglio guardandomi dall’alto in basso prima di prendermi per mano e trascinarmi dentro.

Appena entrammo le persone che stavano discorrendo animatamente si bloccarono tutte, quasi fossero state poste sotto l’influsso di un potente incantesimo che le obbligava a guardarci come rapiti. Gli orchestrali che fino a quel momento avevano solo guardato lo svolgersi della festa iniziarono a suonare una melodia molto lenta e dolce ed Ash mi portò al centro della pista, mentre io mi sforzavo di mantenere la concentrazione sul pavimento per non dover incrociare gli sguardi dei miei genitori che sicuramente mi guardavano con tanto d’occhi, facendo poi battutine poco consone alla situazione.

Ash si fermò in mezzo alla pista, voltandosi verso di me e avvicinandomi con le braccia al suo corpo, mi avvolse in un semi abbraccio talmente dolce che al pensiero di quel momento ancora adesso sento il calore del suo corpo…nonostante questo non sia più possibile.

“Ash…non so ballare!” disse a voce talmente bassa che lui dovette avvicinarsi a me per potermi ascoltare.

“Non preoccuparti, lasciati andare, al resto ci penserò io” mi disse nell’orecchio.

E per la prima volta mi ritrovai a ballare, completamente rapita dal mio partner, mentre ogni singolo individuo in quella sala ci mandava occhiate equivoche, ma poco importava in quel momento, era come se in quel momento tutto intorno a noi fosse svanito nel nulla, le cose, le persone, le voci, la musica, tutto era relativo in quel momento. Esistevamo solo noi due…

Quando la musica cessò mi allontanai da lui lentamente, alzando il viso e perdendomi nei suoi occhi scuri. Lui mi guardò sorridendomi prima di allontanarsi e fare un piccolo inchino di fronte a me in segno di saluto e di rispetto, dopodichè alzò il viso facendomi l’occhiolino e ridendo quando io divenni un’altra volta rossa.

Quella serata terminò così. Poco dopo Ash dovette tornarsene a casa, scortato da alcuni uomini ed io, rimasi in mezzo alla sala, scoprendomi sorpresa di come il cuore stesse male a quella lontananza. Quella notte dormii molto poco, anzi, forse dovrei dire che non dormii per niente, continuavo a ripensare a quell’incontro, e ogni volta che la mia mente focalizzava il viso di Ash il mio cuore correva veloce, e io arrossivo come una sciocca.

Solo più tardi mi resi conto di quanto quel ragazzo mi avesse colpita.

Me ne ero completamente, irrimediabilmente innamorata.


*


Non ricordo esattamente quando successe, ma ricordo perfettamente come io e Ash ci mettemmo insieme…

Quella sera avevo deciso d’ignorare le lamentele dei miei genitori, in particolare di mio padre che si comportava come un vero e proprio dittatore nei miei riguardi, sempre troppo preso dai suoi impegni passava quel poco tempo che gli rimaneva con me rimproverandomi qualsiasi cosa facessi o dicessi.

Così quella sera uscii da palazzo diretta non sapevo bene dove, sellando il mio cavallo e correndo veloce sulle colline verdi che a quell’ora si riempivano di lucciole e di gracidii di rane e grilli.

Scesi da cavallo facendo attenzione a non inciampare, il vestito che mio malgrado ero costretta ad indossare in quanto membro femminile di un’importante casata non avrebbe dovuto sgualcirsi, altrimenti avrei rischiato un castigo forse peggiore della forca stessa.

Mi misi ad osservare le stelle nel cielo, mentre le poche nuvole che occupavano il cielo notturno correvano veloci, a formare altre nuvole più grosse e scure.

Tornai con lo sguardo a terra posandolo sul mio cavallo, intendo ad abbeverarsi nel piccolo ruscello che scorreva poco distante da dove mi ero fermata. Era un cavallo giovane, di un nero talmente lucido da fare invidia ai lustrascarpe del paese. Le zampe e la fronte portavano delle macchie bianche simili a gocce che piovute su di esso lo rendevano ancora più meraviglioso di quello che già fosse.

Fu in quel momento che sentii uno scalpiccio di zoccoli provenire da lontano e dirigersi quasi sicuramente nella mia direzione. Inconsciamente afferrai le redini del mio cavallo, pronta a saltare in sella e correre via se ce ne fosse stato bisogno, mentre con lo sguardo aspettavo d’intravedere colui o colei che si stava avvicinando con velocità esagerata a me.

Improvvisamente dal buio della notte uscì un bellissimo cavallo marrone, ma la mia attenzione fu catturata dalla persona che lo stava cavalcando.

E il mio cuore perse un battito.

Vestito come un comune ragazzo di campagna Ash rallentò l’andatura mentre il suo viso s’illuminava vedendomi li, sorpresa e affascinata.

“Misty!” disse fermando il cavallo quasi di fronte a me e scendendo da esso prima di dargli una pacca e lasciarlo trotterellare fino al piccolo ruscello dove prima si era abbeverato il mio cavallo.

“Cosa ci fai qui?” mi chiese tutto d’un tratto voltandosi verso di me.

“Nulla di che, passeggiavo” risposi io facendo spallucce come se essere li a quell’ora di notte fosse una cosa normalissima per una ragazza.

Lui sorrise e si distese sul manto verde, chiudendo gli occhi e lasciandosi accarezzare dalla brezza della sera.

“E tu come mai ti trovi qui?” chiesi.

“Per il tuo stesso motivo penso”

Lo guardai per un momento prima di alzare nuovamente lo sguardo verso il cielo, dove le nuvole si stavano addensando in modo preoccupante, ormai le stelle erano quasi sparite dietro di esse ed un brivido di freddo mi avvolse.

“Credi che pioverà?” chiesi rivolgendomi ad Ash che per tutta risposta si mise seduto osservando i cavalli.

“Di solito gli animali sentono i cambiamenti climatici prima di noi uomini, se notiamo qualche cambiamento in loro torniamo indietro”

Non appena finì la frase un lampo squarciò il cielo seguito subito dopo dal potente rombo di un tuono e terrorizzata strillai chiudendo gli occhi e portandomi le mani strette a pugno sulle orecchie.

Ash si alzò di scatto, prendendomi e avvicinandomi a lui.

“Torniamo indietro” disse voltandosi verso i cavalli e prendendo le loro redini con una sola mano.

Nel giro di qualche istante stavano correndo veloci verso le mura del paese, mentre la pioggia e il vento ci sferzava il viso impedendoci di vedere bene la strada di casa.

“Non pensi che dovremmo trovarci un riparo almeno finchè la pioggia non si placa?” gridai cercando di farmi sentire.

E ci riuscii perché Ash prese una svolta improvvisa e nel giro di qualche minuto ci ritrovammo di fronte ad una baracca logora e vecchia. Facemmo entrare i cavalli e Ash accese il fuoco, mentre io cercavo con tutta me stessa di calmare i brividi che scuotevano il mio corpo.

“Tutto bene?” mi chiese vedendo come io cercassi di farmi caldo con le mani.

Annuii, e mi avvicinai al fuoco, trovando sollievo nel constatare che le mie mani non avevano perso la sensibilità, come invece credevo.

Ci sedemmo accanto al fuoco in silenzio, entrambi guardando il fuoco che scoppiettava.

“Strano come secondo incontro non trovi?” disse Ash sogghignando divertito.

A quelle parole anche io non riuscii a trattenere una piccola risata, mentre le mie guance s’imporporavano appena. In quel momento non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso, la luce del fuoco lo rendeva così bello che in confronto alla sera del ballo sembrava aver acquisito vigore.

Lui si voltò verso di me e mi sorrise, all’oscuro di come in quel momento i miei pensieri si addensavano attorno a lui e solo a lui.

Non mi capacito ancora di quello che feci in quel momento. Ricordo solo che mi tesi verso di lui e gli sfiorai le labbra con le mie.

Quando mi allontanai da lui lo vidi arrossire e portarsi meccanicamente le dita sulle labbra, preso alla sprovvista da quel gesto.

Mi sentii stupida, perché lui mi guardava con i suoi occhioni sgranati che alla luce del fuoco risplendevano e mi diedi nuovamente dell’idiota per essere stata così spontanea.
Non avevo mai baciato nessuno, per la verità non avevo mai neppure provato un sentimento simile e quindi imbarazzata mi alzai, scoprendo che il temporale fuori dalla finestra sembrava essersi placato magicamente.

“Possiamo andare” dissi cercando di non guardarlo in faccia. Però lo sentii annuire e alzarsi mentre i suoi occhi non si distoglievano dal mio viso.

Uscimmo e cavalcammo fino dentro le mura di cinta della città, dopodichè scendemmo e c’incamminammo verso il mio palazzo, solo allora mi ricordai che lui non faceva parte di quella contea.

“Non è tardi? I tuoi genitori saranno preoccupati” dissi.

Lui controllò il grosso orologio che sovrastava la chiesa e si mise una mano sulla nuca, imbarazzato.

“Bhe in effetti, credo che sia ora di andare”

Si voltò per andarsene, ma il mio stupido autocontrollo vacillò nuovamente e lo chiamai facendolo voltare verso di me.

“Si?”

Prima che potessi dire qualsiasi altra cosa andai da lui e posai nuovamente le labbra sulle sue, più a lungo questa volta, per imprimere quel calore e quella morbidezza disarmante nella mia mente.

Fu magico quello che accadde dopo, mi strinse a se, prolungando quel bacio che divenne molto più simile al bacio di due innamorati che a quello di due estranei, mentre il mio cuore batteva impazzito nel mio petto, furioso e innamorato.


*


Il giorno della festa in onore del compleanno di mia madre fu un evento che non dimenticherò mai. Non potrò mai dimenticarlo, perché segnò il mio destino e le mie scelte future.

Per tutto il giorno fu un via vai assurdo di servitori che si davano da fare per rendere il ricevimento e il ballo perfetti sotto qualsiasi punto di vista.
Mia madre per l’occasione aveva sfoggiato il suo abito migliore, un vestito di raso e seta talmente bello che le dame di corte facevano a gara per vederlo per prime.

Il mio abito, scelto appositamente per il ricevimento era di seta finissima, di un rosa caramellato con delle rifiniture violacee che mi dava il voltastomaco, ma per quell’occasione dovevo sembrare almeno un po’ femminile, per non ferire i sentimenti di mia madre. Mi fece indossare anche un collare d’oro al collo che mi faceva somigliare più ad un cane da passeggio con il collo rotto che ad una ragazza. Infine per completare l’opera aveva voluto che indossassi per forza un diadema incastonato di gemme verdi che s’intonavano perfettamente – a suo dire – con i miei occhi.

La serata iniziò nel migliore dei modi, almeno per loro, tutta quella gentaglia di nobili allietava la festa come delle oche in un cortile di porci, ma da brava attrice, fingevo che quelle persone mi piacessero.

Attesi appoggiata al muro di vedere qualche persona che potesse alleviare le mie sofferenze per quella serata così malsana finchè la porta non si aprì e nella sala entrò lui, vestito come un cavaliere, con tanto di mantello e cappello blu con un marchio dorato.

Appena lo vidi corsi da lui felice, dimenticandomi dei tacchi che portavo ai piedi e che mi fecero inciampare nelle pieghe del vestito. Chiusi gli occhi pronta alla caduta e al silenzio più totale della sala, sostituite poi dalle risate di scherno delle nobili più giovani. Ma quella caduta e quella figuraccia non arrivarono mai. Quando riaprii gli occhi mi ritrovai fra le braccia di Ash, che mi aveva preso al volo, impedendomi di volare a terra come un sacco di patate.

“Dovresti fare attenzione a dove metti i piedi sai?” mi disse sorridendo e in parte prendendomi in giro per la mia goffaggine.

Gli diedi una leggera sberla sul braccio e lui rise, inebriandomi con la sua risata cristallina e spontanea.

Durante la mezz’ora successiva ballammo come avevamo fatto la prima volta. La mia goffaggine sulla pista da ballo sembrava quasi scomparsa e lui, era talmente paziente da non dire nulla neppure quando finivo con il pestargli i piedi.

Mentre eravamo li a danzare sentii delle voci che parlavano animatamente di alcuni fatti di cronaca avvenuti in una contea vicina, ma non ci feci caso, troppo presa a ballare con Ash, nonostante il suo sguardo in quel momento tradisse una seria preoccupazione per quello che stava cercando di catturare dalle parole degli altri ballerini.

Improvvisamente le porte della sala si aprirono e mio padre venne di gran carriera verso di me, era da qualche giorno che lo non vedevo e così sorrisi allontanandomi un po’ da Ash per poter andare da lui. Ma Ash mi trattenne inconsciamente, come se avesse visto qualcosa che non andava.

Il suo sguardo si era fatto duro e così seguii anche io il suo sguardo e quello che vidi mi fece pietrificare dalla paura.

Dietro mio padre c’erano alcuni soldati della guardia, cavalieri e alti ufficiali che senza neppure aspettare un qualsiasi ordine iniziarono a fare roteare le spade, colpendo all’addome gli invitati che si trovavano più vicino a loro.

Le grida superarono improvvisamente la musica che si fermò e tutti cercarono di scappare in ogni direzione, mentre io non mi muovevo di un passo, troppo presa a vedere cosa ne fosse stato di mio padre e di mia madre.

Fu allora che li vidi. Mio padre che prima stava venendo da me ora era a terra in una pozza di sangue, mentre mia madre era poco distante da lui, riversa sulle sedia con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata in quello che doveva essere stato un grido di terrore, nonostante la distanza la vedevo ancora respirare debolmente, nonostante il rivolo di sangue che le scendeva dalla bocca e la spalla completamente coperta di sangue che scendeva fino alla mano per poi gocciolare a terra.

“MADRE!!!” gridai perdendo il controllo e cercando di correre da lei ma Ash mi fermò.

“Dobbiamo scappare!” mi disse e mi trascinò via, verso i corridoi del palazzo.

“I miei genitori! Non posso lasciarli li!”

“Se torni ti uccideranno!” mi gridò lui senza smettere di correre.

Aprì una botola dietro ad una parete nascosta da un quadro e mi spinse dentro senza tanti complimenti.

“Dove vai? Cosa sta succedendo Ash?” dissi in preda al panico mentre iniziavo a tremare in modo convulso, terrorizzata dalle immagini dei miei genitori morti.

“Tranquilla, andrà tutto bene” mi disse prendendomi il viso fra le mani e baciandomi delicatamente le labbra.

“Tornerò presto, vado solo a controllare se se ne sono andati” disse “Ma tu ora smetti di piangere d’accordo?”

Neppure mi ero resa conto di aver iniziato a piangere e così mi asciugai il volto, tirando su con naso, mentre il diadema crollava insieme ai miei capelli impiastricciati di sudore.

“Promettimelo!” gli dissi.

“Cosa?”

“Che tornerai! Giuralo!”

Lui mi guardo e mi sorrise dolcemente.

“Te lo prometto” disse dopodichè si voltò e se ne andò.
Non lo rividi più da quel giorno…

1 commento:

Ada ha detto...

kedy ste to sem pridali .... nevsimla som si to !! Chvalim tvorcu a timto ho ziadam aby si to prelozil pokial si to chce precitat ..... si super !!!