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28 gennaio 2009

Fic: Cap. 1

Ya-chan: Ed ecco, un'altra novità. Una nuova fic, più recente, di Ery, molto carina e già dal primo capitolo triste. Ma non anticipo niente, per non rovinarvi la sorpresa ^^
Ricordo a chiunque voglia lasciare un commento sulla fic, o anche altre altre, che c'è l'apposito modulo per i commenti in fondo al Post e non nella Tag.
Lo dico, perchè è più carino che i vostri commenti vengano racchiusi tutti in un unico posto. E poi perchè, l'autore potrebbe non passare per qualche giorno e già si è cancellato il commento. E suppongo, che se lo scrivete è perchè desideriate che l'autore lo legga.
Perciò, buona lettura e non dimenticate di commentare la fic (bastano pochi minuti, come nella tag, è veloce e non ci si deve registrare), okey? Gli autori delle fic, vi saranno eternamente grati ^^
A volte ci sono dei dolori che non possono essere colmati né dal tempo né dalle persone a noi vicine. La perdita di un affetto è qualcosa che logora l’anima, trasformando sentimenti come rabbia, dolore e frustrazione in qualcosa di molto più intenso e oscuro. Qualcosa che esternamente, agli occhi degli altri può sembrare la normalità, all’interno di noi stessi provoca distruzione e caos…un caos che diventa pazzia…


DISTURBIA~



“Io non sono pazza!” gridò una ragazza dai capelli rossi, mentre veniva caricata a forza su un’ambulanza e portata via.

“Brock! Ti prego!” gridò, e nonostante davanti all’autolettiga ci fossero i suoi amici e le sue sorelle, nessuno di loro mosse un dito. Si limitarono a guardarla, con un misto di angoscia e pena che avrebbe fatto rivoltare lo stomaco a chiunque.

Le porte del mezzo si chiusero davanti a lei e i medici che salirono al posto di guida misero in moto, portando via quella ragazza. Mentre le persone rimaste a terra, tornavano alla loro vita, sentendosi in colpa forse, ma consci del fatto che secondo loro, quella soluzione era la migliore.


*


La stanza era bianca e completamente insonorizzata, candida e silenziosa come mai aveva visto in vita sua. Come ci era arrivata li? Come si era potuti arrivare ad una simile conclusione? Lei, che si era sempre fatta in quattro per gli altri, era stata trattata come merce di scambio. La tranquillità dei suoi amici, per la sua disperazione.

Odiava quel posto, e nonostante ormai ci avesse fatto l’abitudine, nonostante di volta in volta Brock l’andasse a trovare, non poteva fare altro che provare un incredibile risentimento verso quel ragazzo che ormai di ragazzo aveva ben poco. Erano passati anni da quando l’aveva conosciuto la prima volta, e il suo viso, un tempo fiero e sempre allegro, ora era spento, macchiato di quando in quando da qualche piccola ruga sul viso stanco e logoro.

Un viso che non riconosceva più come un tempo.

“Che diavolo sei venuto a fare?” chiese con un sibilo.

Sospirò “Lo sai che vengo a trovarti ogni settimana” disse sistemandosi davanti a lei, bene attento a non sedersi sul morbido pavimento.

Tutto in quella stanza era fatta di piccoli cuscinetti bianchi, le pareti, il soffitto, lo stesso pavimento erano rivestiti da quella soffice neve, simile alla bambagia.

Lei di rimando rimase dov’era, con le gambe strette al petto e rannicchiata nell’angolino di una delle quattro pareti.

“Perché non accetti la cosa?”

“Cosa dovrei accettare? Il fatto che mi avete internata come una povera pazza solo perché dico la verità?”

“Sai benissimo di non stare bene, non puoi stare bene!”

“TACI!” gridò la ragazza.

Odiava che qualcuno, soprattutto lui le dicesse come si sentisse, perché non lo sapeva, fingeva di capirla, limitandosi a psicanalizzarla come una qualsiasi altra persona che non la conosceva.

“Io non sono pazza” disse guardandolo di sottecchi.

“Ma hai dei problemi, e questo non puoi metterlo in dubbio”

Stai zitto…

Taci…

E ancora

Muori…

Strinse i denti. Non doveva cedere alla tentazione di sfogare la sua rabbia repressa colpendo Brock, voleva solo che stesse zitto, che la lasciasse in pace, e poco importava se l’unico modo per fare tornare quella stanza silenziosa fosse farlo uscire di li, o stringere talmente tanto le dita intorno alla sua gola, impedendo al sangue di scorrere nella sua carotide fino a mozzargli il respiro.

Per sempre

Scacciò via quel pensiero, e nonostante cercasse di non pensarci, non riuscì a non fissare il suo sguardo sul collo scoperto del ragazzo, riuscendo a vederne l’arteria pulsare, e correndo verso il petto vedere come questo respirasse alzandosi e abbassandosi a ritmi regolari.

Odio

“Brock, vattene”

“Non ho ancora finito”

“TI HO DETTO DI ANDARTENE MALEDIZIONE!” strillò, e lui non poté fare altro che allontanarsi da lei, avvicinarsi alla porta e schiacciare l’interruttore di chiamata che fece scattare il meccanismo di apertura della porta.

“Domani verrà a trovarti Vera, cerca di non fare simili figure anche con lei” disse, prima di richiudersi la porta alle spalle.

“Al diavolo”

Il giorno dopo arrivò fin troppo velocemente, in quella stanza, nonostante fosse monitorata 24 ore su 24, le uniche volte che vedeva qualcuno era per il pranzo e la cena. Non le era neppure permesso di guardare fuori dalla finestra, visto che li, di finestre non ce n’erano.

Era sola, sola con il suo dolore ed il suo odio.

Fu verso il tardo pomeriggio che la porta si aprì meccanicamente e la figura esile di Vera entrò, voltandosi verso di lei e sfoggiando un dolce e comprensivo sorriso di circostanza.

“Ciao Misty” disse accomodandosi davanti a lei, cosa che Brock non si sarebbe mai permesso di fare.

Non voleva ammetterlo, ma lei lo sapeva. Aveva paura.

Non aveva mai ucciso nessuno – non che non ci avesse pensato, e qualche volta anche seriamente – ma lui era forse l’unico davvero impaurito da lei.

Terrorizzato

“Come stai?” le chiese.

Misty piegò la testa di lato, attenta a non guardarla negli occhi.

“Non lo so…”

“Ancora quei brutti sogni?” le chiese nuovamente.

“A volte…”

“Capisco” disse e si alzò, inginocchiandosi dietro e di lei e prendendo dallo zainetto che portava in spalle una spazzola, con il quale iniziò a pettinare i capelli rossi dell’amica.

“Andrà tutto bene vedrai. Io e Tracey ci stiamo attrezzando per farti uscire da qui” disse senza smettere di spazzolare i capelli color tramonto della ragazza che per tutta risposta fece un cenno con la testa.

Vera era l’unica che il giorno in cui era stata portata via si era messa in mezzo, cercando di far ragionare gli amici. Sperando che non si arrivasse davvero a tanto. E di questo lei gliene era grata. Perché si era rivelata più amica di chi, invece considerava più importante.

“Grazie…”

“E di cosa? Non preoccuparti, appena avremo finito di compilare tutti gli incartamenti necessari, verrai a vivere a Petalipoli. I miei genitori sono felici di poterti ospitare, potrai stare li quanto vuoi”

Era buona, fin troppo per i suoi gusti. Dolce e tonta come una persona che non voleva ricordare, perché faceva male ricordare un passato che aveva cercato di riporre in un cassetto lontano della sua memoria.

“Max come sta?”

“Bene, ha iniziato il suo viaggio come allenatore, e da quello che mi dicono i miei genitori quando si degna di chiamare sembra entusiasta della sua professione” disse non riuscendo a trattenere un sorriso pensando al fratello.

“Come lui…”

La ragazza dai capelli castani si fermò. Sapeva a chi si riferiva, ma da quando era successo aveva deliberatamente deciso di non nominare più il suo nome. Sapeva che era una mancanza di rispetto nei confronti dell’amica. E lei, non voleva ferirla. Non più di quanto non soffrisse di già.

“Vuoi che cambiamo discorso?” chiese.

“No tranquilla…mi fa bene parlarne, soprattutto se ci sei tu ad ascoltarmi”

Continuò a pettinarla finchè non ebbe districato tutti i nodi, come se ogni nodo simboleggiasse una spina nel cuore di Misty. E voleva che lei stesse bene, lo voleva con tutto il cuore.

“Devo tornare a casa adesso” disse tutto d’un tratto e Misty si riscosse, essere pettinata la tranquillizzava a tal punto che aveva finito con l’addormentarsi.

“D’accordo”

“Tornerò il prima possibile. Mi raccomando…non arrenderti”

Annuì sforzandosi di trovare realmente la forza per sorridere, ma quando Vera richiuse la porta, sparendo dietro di essa, ciò che si materializzò rischiò di mandare in frantumi tutto ciò che aveva cercato di trascinare nell’oblio.

La figura evanescente di una persona che conosceva fin troppo bene era apparsa dentro quella prigione soffice, e nonostante cercasse di restare calma, qualcosa dentro di lei aveva trasformato quella figura in qualcosa di terrificante.

Incubo

“…no…”

Iniziò a singhiozzare forte, mentre quella figura acquistava contorni sempre più reali, la fisionomia, il colore della pelle, dei vestiti, degli occhi.

Era lui.

La persona che l’aveva trascinata in quel baratro senza fine.

“Ash…”

Nonostante avesse gli occhi coperti da un velo di lacrime, riuscì a vedere il volto di quel ragazzo e a stento riuscì a trattenere un urlo di disgusto e di terrore.

Solo adesso si rendeva conto di come quell’Ash era diverso da come se lo ricordava, perché mai aveva visto i suoi capelli e i suoi vestiti intrisi di sangue, mai aveva visto i suoi vestiti logori e il pavimento sotto ai suoi piedi trasformarsi pian piano in una pozza di sangue rosso vivo.

“No…”

Fu quando quella figura alzò un braccio stendendolo verso di lei e gli occhi vitrei del ragazzo si fissarono nei suoi che urlò, urlò in preda ad un disperato bisogno di respirare. Perché sapeva che non era reale, Ash era vivo e stava viaggiando, eppure davanti a lei, lui era li, distrutto dal sangue e dalle ferite che lo ricoprivano su tutto il perimetro del corpo.

Misty

“VATTENE!!!” gridò e prima che i medici entrassero per somministrarle dei tranquillanti Misty era già in preda a quel baratro che precede l oblio.


*


“Io non sono pazza! Quello che vedo è reale!”

“Andiamo Misty, come puoi vedere Ash morto se è impegnato nel suo viaggio di formazione a Sinnoh?

“Non ho detto che è morto…solo…è difficile spiegarlo, è come se una parte di me mi dicesse che è in pericolo”

“Quante sciocchezze” disse Brock alzando gli occhi al cielo. Aveva deciso di tornare a casa, nel continente di Kanto a causa di alcuni disguidi avuti con la palestra di Pewter City. Una volta finito tutto, avrebbe preso il primo aereo per tornare a Sinnoh, dove Ash e Lucinda lo stavano aspettando.

“Non si tratta solo di Ash! Vedo anche voi, te, le mie sorelle, Vera, Gary…accadrà qualcosa, non possono essere solo allucinazioni”

“Invece lo sono, e tu stai male, hai bisogno di un medico”

“Piantala di dire fesserie e dammi ascolto per una volta Brock!” disse la ragazza prendendo il ragazzo per un braccio e obbligandolo a voltarsi verso di lei, ma il viso che si ritrovò davanti non fu quello pulito dell’amico, ma quello cenereo di un cadavere.

“AAH!” strillò lasciando la presa e allontanandosi con terrore dall’amico.

“Che diamine hai adesso?” disse Brock.

La ragazza dai capelli rossi scrollò la testa disorientata, le fattezze dell’amico erano tornate quelle di un tempo.

“Io...non…”

Non fece in tempo a terminare la frase che Brock alzò il ricevitore, componendo il numero dell’ospedale neurologico della città.

“Stai chiamando il manicomio?!” gridò furiosa Misty cercando di strappargli di mano il telefono, ma Brock fu più forte, bloccandola appena in tempo.

“Hai bisogno di farti curare”

“Che razza di amico sei? Ho bisogno del tuo sostegno, non di una seduta da uno psichiatra!”

“Infatti non è una seduta” disse Brock prendendo una grossa valigia. “Ti faccio internare”



*


Aprì lentamente gli occhi, ed il primo viso che si vide davanti fu quello preoccupato di Vera, seguito da quelli dei medici accanto a lei.

“Finalmente ti sei ripresa Misty, ci hai fatto preoccupare” disse l’amica sorridendo e tirando un sospiro di sollievo.

“Dove sono? E come mai ti trovi qui?” chiese guardandosi attorno, la stanza non era la stessa dove aveva avuto quella strana e inquietante allucinazione. Era diversa, almeno questa aveva un letto ed una finestra. E anche un tavolino dove era posto un piccolo vassoio con del cibo.

“Dopo che hai avuto la crisi sei stata portata qui. I medici hanno pensato che non fosse il caso di tenerti chiusa li dentro. Dicono che forse per la tua stabilità emotiva sia più idonea una stanza simile a quelle normali…e in quanto a me…bhe, quando hai strillato ero ancora vicino alla porta”

La ragazza l’ascoltò continuando a guardarsi in giro. Era migliore della stanza bianca, ma continuava ad odiare quel posto.

“Quando…quando potrò venire a Petalipoli Vera?” chiese guardando gli occhi blu dell’amica.

“Presto, tempo una settimana e sarai fuori”

Sospirò chiudendo gli occhi. Doveva resistere un’altra settimana, poi, avrebbe cercato la vera causa di quelle allucinazioni.

Sarebbe venuta a capo della faccenda. In qualsiasi modo, a qualunque costo.

“Vera…devi aiutarmi a rintracciare Ash”



CONTINUA…

1 commento:

Yachan ha detto...

Ciao Ery! Dovevo proprio lasciare un commento ^^
Allora...è una fic triste ç.ç Sigh! E mi ha stupito il comportamento di Brock °_°' Da lui non me lo sarei aspettata. Ne' tantomeno che Vera fosse così gentile (qui gatta ci cova...quanto l'hai pagata?). Mi raccomando, mandami il seguito!