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2 febbraio 2009

Fic: Cap. 2

Ya-chan: Ecco un altro capitolo della fan fiction di Ery ^^ Buona lettura!


After the night he died I wept my tears Until they dried But the pain stayed the sameI didn't want him to die all in vain I made a promise
To revenge his soul in time I'll make them bleed at my feet

THE PROMISE
Cap. 2


Fin da bambina avevo sempre avuto la certezza illusoria che nulla di quello che era accaduto di brutto nel mondo alle persone a me vicine potesse scalfirmi, come se io fossi diversa, come se fossi nata protetta da un vetro così sottile e trasparente da non permettere a situazioni brutte e no come la guerra, l’amore o il dolore di colpirmi. Ma quella notte mi resi conto di quanto il mio punto di vista fosse totalmente irrazionale, e di come ciò che accade alle altre persone può colpirci.

Perché siamo esseri umani. Ed è nel nostro destino soffrire.

Soffrire per vivere.

Quella notte non dormii, ogni volta che i miei occhi cercavano di chiudersi io li riaprivo di colpo, avevo paura di ciò che avrei potuto vedere addormentandomi. Nonostante ciò però la mia mente creava ugualmente nella mia testa immagini e ricordi che non tolleravo, che non volevo ricordare, non in quel momento.

Non così.

Era come se qualcuno avesse deciso di riversare in un pentolone tutti i miei ricordi, facendomi tornare indietro nel tempo sino a quella maledetta notte.

Ma come capita di solito in queste situazioni, gli eventi prevalgono sulla volontà…finendo con il trascinarmi con loro.

Sognai.

Quella notte, fu la prima volta che iniziai ad avere gli incubi su di lui. Non fui mai certa se si trattassero di sogni con un fondo di verità o semplicemente incubi dove vagavo, in balia di speranze alle quali la mia mente tentava con ogni mezzo possibile di aggrapparsi.

Ricordo quel sogno perché in parte ripercorreva a ritroso ciò che quella notte successe. Una volta uscita dal mio nascondiglio camminai cercando di fare il minimo rumore possibile. Temevo che qualcuno potesse sentirmi e mi poggiai una mano sul petto, sentendo solo in quel momento il mio cuore battere talmente forte da rimbombarmi nelle orecchie.

Quando arrivai alla scalinata rimasi pietrificata dall’orrore. Gli invitati, i miei amici, i miei stessi genitori erano a terra, con le gole tagliate, come se chi aveva compiuto quel massacro fosse poi tornato indietro e avesse sgozzato ogni singolo invitato, per essere sicuro di non lasciare sopravvissuti…

Vagavo con lo sguardo fisso verso una massa informe vicino al corpo senza vita di mio padre, senza neanche accorgermi di come le mie scarpe calpestassero di tanto in tanto le pozze di sangue colate dai corpi dei cadaveri che mi circondavano loro malgrado.

Arrivai a quell’oggetto, sollevandolo lentamente, mentre il mio cuore perdeva un battito e il respiro mi si mozzava nel petto.

Il suo cappello.

Il cappello che Ash portava al ballo era a terra, intriso di sangue.

Del suo sangue.

Mi voltai di scatto, cercando intorno a me il suo corpo, terrorizzata al pensiero che avrei potuto vederlo riverso a terra, con la gola tagliata come i miei genitori.

Ma per qualche strano motivo il suo corpo non era insieme agli altri, nonostante il mio sguardo lo cercasse ossessivamente, non riuscii a scorgere la figura esile del corpo di Ash da nessuna parte.

Strinsi inconsciamente il cappello a me, stringendolo talmente forte da imprimere le macchie di sangue sul mio vestito.

E piansi, lasciai che le lacrime mi offuscassero la vista, le lasciai correre lungo il mio viso, fino a bagnare parte del pavimento intriso di sangue, mentre il mio sguardo si perdeva nell’incoerente massacro che si stanziava di fronte ai miei occhi.

“Misty”

Mi voltai di scatto verso la voce e lo vidi li, di fronte a me, con in mano la spada ancora sporca di sangue usata per sgozzare le gole delle persone alle quali volevo bene, lui, di fronte a me.

Gli occhi ancora profondi ma pieni di un fuoco che non riconoscevo.

Ash aveva ucciso la mia vita.

Aprii gli occhi di colpo, rendendomi conto in quel momento del mio respiro accelerato e delle lacrime che stavano bagnato il mio viso.

Un incubo.

Il primo di una lunga serie che non mi avrebbe più lasciato vivere.

“Ti sei svegliata” mi disse una voce vicina e calda e voltai lo sguardo, incontrando occhi glaciali posati sul mio viso, occhi talmente azzurri da risultare bianchi ad una prima veloce occhiata, occhi che trasmettevano un misto di risentimento e malinconia. Eppure, gli unici occhi che da quel giorno riconoscevo come amici.

“Jared” dissi mettendomi seduta e lasciando che i miei gomiti facessero leva sul materasso.

“Hai fatto un brutto sogno?” mi chiese, scostandomi leggermente una ciocca di capelli dal volto.

Io scrollai la testa in senso di diniego, quell’uomo mi era stato vicino in quei giorni, non volevo farlo preoccupare con stupidi incubi adolescenziali. Nonostante ciò però, quei ricordi riaffioravano nella mia testa in modo quasi testardo.

Non dovevo dimenticare.

La sera del massacro Jared fu l’unica persona sopravvissuta a venire da me e a farmi forza. Fu lui stesso a dirmi che Ash era scomparso e che forse adesso era morto. Non ne ebbi mai la prova certa, ma quel sangue trovato sul suo cappello non mi lasciarono dubbi, anche se, nei miei sogni e nella mia mente qualcosa mi diceva che Ash era vivo.

Era sopravvissuto.

Da quel giorno Jared si prese cura di me, nonostante fosse un uomo avanti con l’età era ancora un grande combattente, sempre fedele alla casata dalla quale provenivo. Mi aveva educata fin da piccola, e solo con l’arrivo dell’adolescenza le nostre strade si erano un po’ sbilanciate, lasciando che fossi io stessa a camminare da sola, senza nessuno al mio fianco che potesse sorreggermi.

Era un uomo saggio e un’ancora di salvezza per me.

Fu durante quei giorni che nella mia mente iniziò a delinearsi un pensiero corrotto. Un pensiero rivolto al male che mi faceva tremare ma al tempo stesso m’infondeva fiducia e una carica inattesa in tutto ciò che facevo.

Li avrei stanati.

Avrei ucciso chi aveva massacrato i miei genitori.

Li avrei fatti sanguinare ai miei piedi.

Mi sarei vendicata di ognuno di loro, fino a che le mie lacrime e il mio dolore non fosse cessato con la loro morte.

All’inizio ebbi paura di aver formulato un pensiero simile, eppure, con l’andare del tempo quel pensiero divenne parte di me.

Con il passare dei giorni i miei incubi peggiorarono, e così il mio malumore, arrivando al punto che dovetti trovare qualsiasi espediente per riuscire a non pensarci. Ma la cosa fu più facile a dirsi che a farsi. Fu allora che Jared venne nuovamente in mio soccorso.

“Che ne dici d’imparare a combattere?”

Rimasi impietrita da quella proposta, mentre con una mano mi tendeva una spada che di primo acchito doveva pesare parecchio, ma che lui riusciva a tenere con una sola mano con estrema disinvoltura, quasi fosse stata fatta di carta. Incerta la presi fra le mani, e la pesantezza dell’arma mi fece sbattere la lama a terra.

“E’ pesante!” dissi irritata e con disappunto.

“Ci farai l’abitudine, in fondo sei una bambina”

Se fosse stata mia madre a darmi della bambina sarei andata in escandescenze, eppure in quel momento mi sentii davvero fragile e minuta a cercare di reggere un’arma che era quasi pesante come me e che ricordavo fin troppo bene, aveva ucciso le persone che amavo.

“Insegnami a maneggiarla” dissi quasi senza rendermene conto.

Volevo vendicarmi, e quel pensiero, unito al fatto della spada che tenevo ben salda fra le mani mi diedero la forza necessaria perché il mio desiderio potesse cominciare a prendere spessore.

E il tempo passò…inesorabile.


*


“Così non va! Se vuoi imparare a difenderti e ad attaccare inizia a maneggiarla come se fosse parte di te! Un’appendice del tuo braccio!”

“Come se fosse facile!”

“Se continui a lamentarti come una femminuccia non sarai mai pronta!” gridò Jared al limite della sopportazione, mentre io, offesa da quelle parole lasciavo cadere a terra con un tonfo la spada.

“Al diavolo!” dissi digrignando i denti, mentre con una mano ricacciavo indietro una ciocca di capelli rossi.

Ormai erano passati mesi da quando Jared aveva iniziato ad allenarmi all’uso della spada, eppure i miei miglioramenti erano pressoché nulli. L’unica cosa che ero riuscita a fare era tenerla con una mano sola senza lasciare che cadesse a terra, anche se, il dolore ai muscoli del braccio a causa dei crampi provocati, mi facevano gridare di dolore per tutta la notte.

Con il fiato corto mi lascia cadere a terra, lasciando che la polvere del terreno e i raggi del sole si mischiassero con il colore dei miei lunghi capelli rossi, cercando per qualche istante almeno di separarmi da quella condizione di rabbia e dolore per trovare un equilibrio che mi facesse restare ancorata e lucida alla realtà.

Fu come una pugnalata in pieno stomaco, il viso di Ash, il suo sorriso, la sua voce e tutto ciò che restava di lui nei miei ricordi si affollarono improvvisamente nella mia mente, non lasciandomi libera di respirare. Involontariamente la mia mente corse al giorno del nostro primo incontro e le fitte al petto diventarono pura follia.

“A quanto vedo non sei una ragazza molto femminile”




“Hai dei begli occhi”

Riaprii gli occhi di colpo, le parole che la mia mente aveva formulato con la voce di Ash erano talmente nitide che avevo pensato davvero per una frazione di secondo che se avessi aperto gli occhi l’avrei visto li davanti a me, a scostarmi nuovamente una ciocca di capelli dal viso.

Mi misi seduta, ancora spaventata da quel ricordo così nitido e il mio sguardo corse verso l’impugnatura della spada che giaceva inerme poco distante da me.

Ciò che feci dopo mi fece odiare me stessa.

Mi alzai in piedi e presi di getto la spada, impugnandola in modo tale che la lama fosse rivolta verso il mio viso e presi una ciocca dei miei capelli, tagliandomeli via e lasciando che disegnassero piccoli cerchi prima di cadere a terra.

“Che stai facendo? I tuoi capelli!” gridò Jared correndo verso di me.

Non lo ascoltai, ricordo che in quell’impeto di rabbia provocato dal dolore dei ricordi tagliai i miei capelli in modo disordinato e convulso, aggrappandomi all’insana idea che stroncando la loro lunghezza avrei anche allontanato il dolore per la morte di Ash.

Se è davvero morto.

Nonostante la mia mente continuasse ad aggrapparsi a false speranze io continuavo a stare male, ad odiare il mio passato e soprattutto, il mio presente.

Il mio presente senza di lui.

Non mi resi conto di Jared fino a quando non mi strappò dalle mani la spada, lanciandola lontana e mi prese per le spalle, scrollandomi rabbioso per ciò che avevo appena fatto, come se avessi appena commesso un terribile peccato.

“Perché l’hai fatto?” mi urlò contro, il viso contratto, le mani che mi stringevano le spalle.

“…”

“Misty! Non mi avevi detto che erano una delle cose che ti facevano amare te stessa? Non erano un legame con Ash?”

Il respiro mi si mozzò nel petto. Avevo dimenticato, avevo lasciato che il dolore e la rabbia avessero il sopravvento sulle mie emozioni e sui miei sentimenti e mi ero dimenticata di una cosa per me importante come la mia stessa vita.

I miei capelli erano il mio legame con Ash.

Era stata la prima cosa che mi aveva toccato quando c’incontrammo per la prima volta, e io, avevo reciso quel legame senza rendermi conto di ciò che stavo facendo.

Avevo reciso una parte di quel legame alla quale ero legata.

Mi ero allontana da lui.

“Misty…”

Mi allontanai da Jared, sconvolta per quella constatazione improvvisa, portandomi le mani sul volto e scoppiando a piangere senza ritegno, mentre ancora le immagini di quel momento mi tornavano alla mente, ora più dolorose e crudeli di quanto non lo fossero state precedentemente.

Mi buttai a terra, restando in ginocchio, con le ciocche di capelli rosso fuoco che una volta mi erano appartenute intorno a me.

“Perdonami, perdonami”

Jared non disse nulla, capì all’instante che quell’implorazione non era rivolta a lui, ma bensì ad Ash.

Ad Ash e a ciò che rappresentava per me.

Restai a lungo inginocchiata a terra, con il viso coperto dalle mani, mentre sentivo Jared vicino a me raccogliere silenziosamente ogni singola ciocca, come se facendolo mi avesse voluto dire che lui c’era, che ci sarebbe sempre stato.

Decisi di guardarlo, e rimasi ferma in silenzio ad osservarlo mentre compiva quella strana azione, senza riuscire a muovermi. Forse in quel momento Jared aveva voluto dimostrami che avrebbe protetto ciò che ero e ciò che sarei diventata un giorno.

Che mi sarebbe sempre rimasto accanto.

Per sempre.


*


Da quel giorno il mio cuore iniziò ad indurirsi, non lasciavo più trasparire i miei sentimenti come un tempo, anche se, la notte, i miei sogni tornavano a ricordarmi quanto quella maschera fosse deleteria per me.

Ma andava bene così.

“Sei migliorata”

Jared venne verso di me offrendomi una bevanda fresca per ripagarmi del duro allenamento. Ormai riuscivo a maneggiare la spada come se fosse parte di me, come se non avessi fatto altro da quando ero nata. Sorrisi, accettando di buon grado il dono e bevvi, lasciandomi inondare dal piacere che la bevanda fresca aveva nella mia gola.

“Grazie”

Mi sorrise, spostando lo sguardo sui miei capelli che dal giorno del taglio isterico avevano già cominciato a crescere, arrivando quasi alle spalle.

“Per fortuna non sei riuscita a finire, chissà come li avresti corti adesso”

“Volevo solo spuntarli” dissi io imbarazzata. In realtà in quel momento avevo davvero intenzione di farli sparire per sempre, tagliarli tutti, senza lasciare alcuna traccia della loro esistenza.

“Sembri un maschietto sai?” mi disse.

Alzai le spalle, tornando a bere.

“In fondo mi sto vestendo come se lo fossi no? Basta abiti e basta essere femminile, o verrò calpestata”

Mi sentivo più tranquilla da quando Jared aveva deciso di prendersi cura di me. Era come se avessi di nuovo un padre, e forse in realtà era così, data l’età simile e il carattere pressoché identico. Rimasi a guardare la bevanda che mi aveva offerto Jared, indecisa se formulare o meno quella domanda che albergava da un po’ di tempo nelle parti più recondite del mio animo.

“Qualcosa non va?” mi chiese d’un tratto, come se avesse avuto l’assurda capacità di leggermi nel pensiero.

Alzai lo sguardo, incontrando i suoi occhi glaciali preoccupati per me e sorrisi. Un sorriso sforzato che gli fecero capire all’istante che qualcosa non andava.

“Perché…perché hanno fatto tutto questo? Cos’aveva fatto mio padre e tutti gli altri della contea per ricevere un simile trattamento?”

Jared mi fissò per minuti che parvero interminabili, dopodichè sospirò e guardò verso un punto imprecisato del campo, dove ormai iniziavano a delinearsi i primi sentori della sera.

“Sono questioni che riguardano il regno, non ti è dato sapere”

“I MIEI GENITORI SONO MORTI!” gridai a quella risposta.

Gli occhi di Jared indugiarono nuovamente su di me, prima che con profondo rammarico iniziasse a spiegarmi tutto.

Rimasi frastornata quando finì il racconto. Sapevo che esisteva una faida fra contee, ma mai avrei creduto che tutto quell’odio sarebbe sfociato in un crimine talmente atroce come l’uccisione di decine e decine di persone innocenti.

Perché altri non erano che innocenti.

“Stai bene?” mi chiese Jared avvicinandosi.

“Si…” risposi senza però sentire davvero quella parola dentro di me.

Non stavo bene, i miei genitori e i miei amici erano stati uccisi solo per una guerra ai limiti dell’assurdo fra mio padre e il sovrano della contea che si trovava ai confini del regno. I miei amici erano stati barbaramente uccisi non per un regolamento di conti, ma solo perché gli assassini non avessero avuto sopravvissuti in grado di poter riconoscere i propri assalitori.

E poi Ash.

Come poteva una persona come lui venire uccisa –se davvero era stata uccisa – e poi sparire nel nulla, lasciando solo il cappello intriso del suo odore e del suo sangue ormai secco.

“Loro sanno che sei viva”

Tornai alla realtà di colpo, guardai Jared non capendo cosa volessero significare quelle parole, non capendone il significato.

“Non sono stupidi, sapevano qualsiasi cosa della contea, anche la tua esistenza, e quindi sanno che non sei stata uccisa come tutti gli altri”

“Questo vuol dire…”

“Che verranno a cercarti per completare l’opera Misty”

Strinsi i pugni a quelle parole. Volevo affrontarli, volevo vendicarmi, ma ora, ora che la situazione iniziava a giocare a mio svantaggio iniziavo ad avere dei dubbi. Erano molto più esperti di me nel combattimento, erano tanti e io ero da sola. Sarei rimasta uccisa. Ne avevo la consapevolezza.

Eppure il pensiero dei corpi martoriati dei miei genitori a terra invasero le mie vene di odio e rabbia, che fecero ribollire ulteriormente il mio sangue.

“Pensi che, qualcuno abbia fatto il doppiogioco?”

“Credo che ci sia stato un qualche infiltrato, e poi non ti hanno cercata a palazzo, i morti erano solo nella sala…quindi questo significa che qualcuno ha voluto intenzionalmente lasciarti viva, per poi ucciderti affrontandoti da sola. In modo che fossi indifesa”

Seppi immediatamente dove voleva arrivare, e lo squadrai con rabbia. Non poteva essere, non doveva essere così.

“Ash non lo avrebbe mai fatto!”

“Il suo corpo non è mai stato trovato Misty, non ci sono indizi che ci conducano a lui”

“Lo avranno portato via! Oppure avrà cercato di scappare per allontanarli da me! Lui…lui non può aver architettato tutto questo! Non può esserne l’artefice…non Ash…lui…è rimasto ucciso come tutti gli altri!”

Ma l’espressione sul viso di Jared era irremovibile, Ash non era li, non era da nessuna parte, e quella voce dentro di me ora urlava a più non posso ciò che non volevo più ascoltare.

Ash non era morto…

“Jared, entriamo in guerra”

Le parole mi uscirono spontanee, non volevo credere che Ash potesse arrivare a tanto, lo conoscevo, era una persona buona, mi fidavo di lui. Avrei trovato i colpevoli e li avrei uccisi, e avrei fatto vedere a tutti che Ash non era immischiato in tutto questo.

Fu in quel momento che decisi di dare un senso alla sua morte.

Avrei combattuto per lui.

Avrei combattuto in nome di Ash.

1 commento:

Yachan ha detto...

Ash qui è...dolce *.*
Bella la frase finale "Avrei combattuto in nome di Ash".E' incisiva e mi fa immaginare Misty con scudo e spada, in armatura, pronta a combattere XD